Riabilitazione post infarto al miocardio

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L’infarto è costituito dalla necrosi di una zona di miocardio di una parte importante del cuore, dovuta all’improvvisa occlusione di uno o più rami delle arterie coronarie. Si definisce ischemia, ovvero una mancanza totale o parziale di sangue.

L’infarto insorge con un violento dolore al petto, dietro lo sterno, che puó estendersi al braccio sinistro o al collo. Il dolore è accompagnato da sudorazione fredda e tachicardia.

La possibilità di recupero del tessuto miocardico colpito da infarto dipende essenzialmente dalla terapia utilizzata nelle primissime ore del dolore e nella fase di riperfusione coronarica, perchè, in tali momenti, si hanno i più alti indici di mortalità.

L’uso dei trombolitici ha permesso di ridurre l’area necrotica post-infartuale , ma ha evidenziato che è facile l’insorgenza di gravi turbe del ritmo, subito dopo il ripristino della rivascolarizzazione del territorio miocardico, colpito da ischemia, a causa della formazione e messa in circolo di sostanze tossiche, come i radicali liberi dell’ossigeno, i leucotrieni, le bradichinine.

Già nel 1991 presso l’ Università degli Studi di Napoli “FEDERICO II°, si è evidenziato che i pazienti con infarto del miocardio acuto trattati con ossigeno ozonoterapia, mediante “Grande Autoemoterapia ozonizzata”, avevano una rapida scomparsa del dolore, estensione dell’area infartuata, perchè è diminuita la viscosità del sangue ed è migliorata la reologia (cioè lo scorrimento del sangue nei vasi).

Ciò permette in una fase precoce della malattia un aumento significativo della perfusione nel territorio circostante l’area di necrosi, in modo da far giungere, attraverso i capillari, sangue a bassa viscosità ed operare il recupero riperfusivo di questa “zona a rischio”.

Nello studio, sono stati selezionati due gruppi di pazienti infartuati;

a) il primo gruppo è stato sottoposto a trattamento tradizionale ( gruppo A ), b) il secondo gruppo ( gruppo B ), oltre al trattamento tradizionale, è stato sottoposto ad ossigeno ozonoterapia, secondo il seguente schema:

sono stati prelevati 150 cc di sangue, miscelati con ossigeno ozono e reinfusi. Il primo trattamento è stato fatto entro 20 minuti dal ricovero, il secondo a 48 ore di distanza, il terzo a 96 ore.

Il giudizio sull’entità della riperfusione, si è basato sul verificarsi, in una relazione temporale, dei seguenti eventi:

1) scomparsa o significativa riduzione del dolore toracico,

2) riduzione dell’entità dello slivellamento del tratto S-T dell’E.C.G. 3) rapido rilascio del CK-MB sierico, con picco precoce.

Il giudizio sulla perfusione cardiaca è stato dato in base ai risultati dell’Eco-cardiogramma.

Possiamo considerare questi i momenti più delicati, nel trattamento intensivo di questi pazienti.

Questa affermazione è confortata dalla letteratura internazionale, che dimostra che il più alto indice di mortalità si verifica in queste due fasi.

Sono stati selezionati due gruppi omogenei di pazienti,colpiti da infarto del miocardio e giunti all’osservazione clinica entro l’ottava ora dalla sintomatologia dolorosa, di età compresa tra i 42 e i 64 anni.

Il primo gruppo è stato sottoposto a terapia tradizionale; al secondo è stata aggiunta l’ossigeno-ozonoterapia, mediante “grande autoemoterapia ozonizzata”, previo consenso informato e diagnosi clinica e strumentale di infarto miocardico.

Il secondo gruppo, definito B, oltre al trattamento tradizionale, è stato sottoposto a trattamento di ozonizzazione, secondo il seguente schema: sono stati prelevati 150 cc di sangue e miscelati con ossigeno-ozono, quindi il sangue veniva reinfuso in vena, a goccia lenta.

Il primo trattamento è stato effettuato entro 20 minuti dal ricovero; il secondo a 48 ore di distanza; il terzo a 96 ore di distanza. La terapia infusionale e ripolarizzante è stata stabilita a seconda delle singole esigenze dei pazienti, indipendentemente dal doppio cieco.

Il giudizio sull’entità della riperfusione si è basato sul verificarsi, in una relazione temporale, dei seguenti eventi:

1) scomparsa o significativa riduzione del dolore toracico;
2) riduzione dell’entità dello slivellamento del tratto S-T, con andamento progressivo verso la linea isoelettrica, o con valori pari o inferiori al 50% del valore basale;
3) rapido rilascio del CKMB serico con picco precoce (uguale o superiore a 16 h) ; in relazione a ciò, si è considerata “riperfusione persistente” quando i tempi di punta sono stati superiori a 16 ore.

Il giudizio sulla performance cardiaca è stato dato in base ai risultati dell’ecocardiogramma bidimensionale. La cinesi globale e la frazione di eiezione è stata valutata col metodo di Simpson.

La cinesi segmentaria, che è una osservazione del tutto soggettiva, è stata quantizzata in punteggio da 3 = normocinesi a -1 = discinesia.

I risultati hanno evidenziato, prendendo in considerazione i dati più importanti raccolti in questo studio clinico, comparando i due gruppi: per quanto riguarda il dolore, che rappresenta, in ogni caso, un significativo segno di ischemia del miocardio, i valori medi a 24 ore dal dolore iniziale, nel gruppo A sono stati di 5,5 punti, corrispondenti al range tra dolore moderato e forte; nel gruppo B, il punteggio è stato di 3, corrispondente a “dolore debole”.

A distanza di 36 ore, i punteggi nei due gruppi non hanno mostrato variazioni significative, assestandosi sul punteggio 2 (valore appena apprezzabile).

Significativi appaiono i risultati della cinetica del CK-MB.

Nel gruppo A si osserva che l’apice della curva enzimatica si protrae oltre le 19 ore del dolore, nel 20% dei casi, rispetto al gruppo B, ove la percentuale è di 10 (valore che è stato valutato come “occlusione persistente”.

Si osserva, invece, una più precoce caduta del tasso ematico del CK, prima delle 16 ore (avvenuta riperfusione), nel 60% dei pazienti del gruppo B, trattato con ossigeno ozono terapia, rispetto al 40% del gruppo A.

Da questi dati, si deduce che l’estensione dell’area infartuale è stata più limitata nel gruppo trattato con ossigeno-ozono, rispetto a quello trattato con terapia tradizionale.

Comparando ora la somma delle derivazioni elettrocardiografiche,in cui era presente l’innalzamento del tratto ST prima del trattamento, secondo le modalità già descritte, con la somma delle derivazioni, che mostrano l’onda Q della necrosi, dopo tre settimane dall’infarto, si osserva un rapporto a favore del gruppo B.

Va ancora osservato che il tasso di fibrinogeno, dal momento del ricovero fino alla settima giornata, cioè dopo tre cicli di trattamento con ossigeno-ozono, nel gruppo B cala del 43,7% rispetto al valore basale, mentre nel gruppo A si osserva un calo del 18%.

Ricordando che l’evento meccanico si manifesta più precocemente degli eventi elettrici è stato valutato il monitoraggio ecocardiografico mediante il calcolo della frazione di eiezione, ricavata dal rapporto tra gittata cardiaca e volume telediastolico; si è osservato che: in prima giornata, abbiamo valori pressochè sovrapponibili nei due gruppi, fino a giungere, in ventesima giornata, ad una differenza di cinque punti tra i due gruppi; si è visto, inoltre, che nell’ultima fascia di controllo eco nel gruppo B, il valore della frazione di eiezione in toto si avvicina alla norma.

Le confortanti conclusioni riportate in questa relazione, vanno valutate con cautela, a causa del limitato numero di pazienti presi in considerazione, pur rimanendo valida l’attendibilità della metodica utilizzata in questa esperienza.

L’aspetto che, con maggior evidenza,è balzato all’osservazione,quando sono stati valutati i risultati clinici e strumentali, è stato il benefico effetto reologico dell’ossigeno ozono-terapia, che si è tradotto in una significativa riduzione della viscosità del sangue, sia per quanto riguarda l’azione plastica della componente corpuscolata della linea rossa del sangue, sia per quanto ci si riferisce ai fattori della coagulazione.

Vari Autori hanno, negli anni trascorsi, documentato che l’ozono provoca sugli acidi grassi, costituenti fondamentali delle membrane biologiche, alterazioni strutturali tali da aumentare il comportamento plastico dei globuli rossi; ed ancora, tale gas crea una barriera di cariche elettriche negative.

Questa doppia azione permetterebbe una maggiore diffusibilità del sangue ed un maggior effetto anti-impilamento a livello del microcircolo.

Questo fenomeno, in una fase precoce della malattia, permette che aumenti in maniera significativa la perfusione nel territorio circostante l’area di necrosi: zona che si trova, nella fase acuta dell’infarto del miocardio, di fronte ad un doppio destino:

1) il pericolo che la vasocostrizione reattiva e la presenza delle sostanze tossiche liberate dalla zona di necrosi accentuino l’ischemia fino a sfociare nell’allargamento dell’infarto, con aggravamento della prognosi quoad vitam ; oppure, nel caso in cui è possibile, attraverso i canali preferenziali del microcircolo, far giungere sangue a bassa viscosità ed operare il recupero riperfusivo di questa “zona a rischio”; fenomeno che sembra verificarsi nel trattamento con ossigeno-ozono-terapia.

Infine, è opportuno verificare, con follow-up a distanza e con un maggior numero di pazienti trattati con ozono, il significato del calo del dosaggio ematico del fibrinogeno e dell’allungamento dei tempi dei parametri della coagulazione…”